Almarina, anche no (“recensione” dettata da un pescatore la mattina del 3 settembre 2020)

settembre 9, 2020

É beeeelo questo romanzo se sei in fase adolescenziale anche a cinquant’anni e la pace nel mondo.

Così viene più facile che ti riconosci nella protagonista che è la migliore dell’universo ma quello non la capisce, niuno la capisce, puerina.

Propeto come le adolescenti di siempre e la rivoluzione.

Lei, solo lei, invece, lei sì che li capisce questi ragazzi difficili, carcerati e quelli che parlano fino a notte fonda sotto casa sua, mica come gli altri cristiani che protestano.

Lei, solo lei, la migliore del mondo, che presa dal supremo desiderio dell’Ego, farsi dddio e salvare, grande madre di tutto il crocerossinismo de lu mondo, vorrebbe che tutte le carte de li tribunali cattivi fossero scritte in versi amorosi. Che beeelo. Sai quelli che “se la credono” e vanno a Procida come gli piacerà. Assai. Ciouèciouè pure per una altra ragione, penso.

Chi scrive ogni tanto infila pure qualche parola dialettale dentro a li periodi già belli farciti di retorica e sembra di avvertire il fremito nella penna e nella mana che la tiene, uguale a quello degli adolescenti natibene e tutti beneducati la prima volta che dicono cazzo e si girano a destra e a manca per vedere chi li guarda. Niuno, non ti guarda niuno. E se qualcuno ti guarda lo fa con teneressa.

Non è che fa difetto tanto la scrittura, pure se la distanza tra il preteso e il riuscito va ben oltre quella che impone lu virus.

E anzi uno alla fine a pensarci dovrebbe quasi ringraziare chi ebbe l’ardire de lo scrivere, perché rende più chiara una cosa o forse due.

La prima é che il politicamente corretto é una malatìa de lu nuovo conformismo e iniettargli dosi di male parole dentro la aggravia.

La seconda è che non è che siccome che dietro c’è tutta una attività sociale meritevole e pure quando i proventi fossero tutti destinati a la pace nel mondo non è che poi finisce che non si può dire quel che si crede dopo aver letto.

Poi, a dirla tutta, ce ne sta una terza: la teneressa per l’appunto.

Perché quando che una mette la mano sua sopra a la spalla di qualcheduno che ha visto più volte in faccia la morte, ha attraversato paesi, guerre e mari. E tu, tu, mettendoci la mano tua con le onghie pittate sopra a la spalla poi aggiungi che con questo gesto qua senti, senti, tutte le violenze e i dolori che quello ha patito, tutte tutte. Perché sei una personcina empatica assai, anziché no. Bene, quando succede che un personaggio dentro al romanzo, mica chi lo scrive eh…., pensa questo che ci vuoi fare? Una caressa di teneressa. L’unica cosa che puoi fare é dirle “é belll, é bell, é bell”. A patto però di non fare sapere mai a chi ha veramente sofferto le peggiori pene e rischiato di morire più e più volte che ci sta questa borghesuccia del cazzo che dice di sentire l’istesso, uguale uguale, mettendogli una mano sulla spalla. Perché poi se a quello gli dovesse salire il sangue alla testa e partire con una capata sul naso, a quello, che gli vuoi dire? Ti capisco. Ecco,  a quello gli puoi dire: forse – senza poter mai pretendere di avere idea di quello che hai passato – ma questa tua reazione io, forse, un poco la capisco.

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