Il verso delle berte e francuccio a Ventotene

settembre 11, 2018

Pensare a Francuccio a Ventotene e alla sua faccia schietta, calata a zappare la terra sotto il Sole. Ha attraversato molte vite Francuccio, lo hanno segnato un matrimonio con una tedesca – sono capaci di grande severità quelli della Germania, altroché  – e una cicatrice insanabile per una tragedia familiare che non si può raccontare.

Ha attraversato molte vite, Francuccio, ma ha conservato un sorriso gioviale sulla faccia.

Si arrangia a fare di tutto, in casa e nella terra. Fitta le camere, cucina, aggiusta le condutture e cura l’orto. E mentre lo fa si interroga. Si chiede perché si vedono sempre meno marzaiole querule volare sull’isola e perché si fa ogni stagione più flebile, sempre più raro, il verso delle berte.

Sì – sì, quello – quello, quello che i greci presero a prestito per originare la leggenda del canto delle sirene. Ma di questo Francuccio poco si cura, si chiede degli uccelli e dell’isola. Poco gli interessano le leggende.

Quando rincasa divide i fichi appena raccolti, a compartirli con chiunque incontri. E dispensa aneddoti e consigli. Per le murene é da preferire la parte superiore, più gustosa e senza spine. Per cucinar le favette il segreto è saper aspettare, ci vuole il tempo che ci vuole.

Conduce una vita frugale senza farsene cruccio; non sta appresso ai soldi, ma a un certo senso dell’umano che si è fatto merce rara.

Si arrangia a fare di tutto, Francuccio, ma di base é muratore. E racconta che ha sempre lavorato e che però da qualche anno le cose vanno meno bene. Sono arrivati i rumeni, si prendono poco e rovinano il mercato. Chi ti chiamava l’anno prima poi trova una scusa e l’anno dopo chiama a questi qua. A nero, certo, tutto a nero fanno. E così non va bene, come si fa? Mancano ancora anni alla pensione, prima bisogna pensare a chi stava già qua e faceva la fatica che ora fanno loro, i forestieri.

Giornali non ne legge, sui social network non ci sta, la sera Francuccio è stanco per guardare la tv. Non é suggestionato da algoritmi, non avverte nessuna esigenza di dover dire che non è razzista , é fin troppo evidente che non lo é. E cerca qualche spiegazione. Si, certo, ognuno deve cercare il posto dove sta meglio in questo mondo. É vero, spesso vengono a fare lavori che voi non volete fare più e vi si capisce pure. Ma questo è il lavoro mio e io questo voglio continuare a fare, dice. Lo sa che il problema principale è che c‘è qualcuno che li sfrutta. Ma quello c’era prima e c’è pure ora. Poco e niente è cambiato.

Solo che prima non teneva i rumeni, che si pigliano la metà per la giornata. Questo è un fatto.

Poi senza rabbia si domanda: E io? Come devo fare io? Come devo fare?

E la questione, nel silenzio calmo delle sere di Ventotene, rimane sospesa a lungo. E non c’è chi se ne cura. Poi si farà flebile, fino a sparire. Come il verso delle berte, che nessuno sente più.

Ma tanto si sa, non sarà quello, non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà,
l’abbiamo sentito bene, l’abbiamo sentito già, ma sarà il coro delle nostre donne, da una spiaggia di sassi.

Sarà la voce delle nostre donne, a guidare i nostri passi, i nostri passi nel vento, e il vento ci prende per vela.
Sarà di ferro la sabbia, sarà di fuoco la terra. Ascoltaci oh Signore, perdonaci la vita intera.

E chissà se ci perdonerà.

 

 

 

 

 

 

 

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