Con gusto verso l’Irpinia d’Oriente

gennaio 3, 2014

Non si capita ad Aquilonia per caso, ci si arriva per manifesta volontà o per errore. Raggiungere questa comunità nell’Irpinia d’Oriente, difficile non è. Da Napoli si può seguire veloci l’autostrada A16 e uscire a Lacedonia. Si passa per Bisaccia, l’antica Romulea con il suo Castello di origini normanne, ricostruito per volontà di Federico II nel XIII secolo.
Qui ha preso forma la paesologia, “disciplina indispensabile ma inesistente” secondo il suo fondatore, Franco Arminio, poeta, scrittore, regista, presidio culturale appenninico.
A “Bisaccia, la gentile” (copyright: Francesco De Sanctis) una sosta culinaria merita il Grillo d’Oro, antica osteria ora presidio slow food. I sapori sono quelli tipici d’Irpinia, talvolta con reinterpretazioni interessanti; il tutto innaffiato con l’aglianico della casa.
Se si arriva invece dalla “Ofantina” (da Salerno, per esempio) il passaggio obbligato è per Calitri, il paese dove gli anziani fanno marameo a Cormac McCarthy (l’autore di “Non è un paese per vecchi”).
Secondo l’International Living, infatti, è questo uno dei cinque posti al mondo (primo in Italia) in cui si vive meglio la terza età e le successive. Questa cittadina cui dedicò la poesia “Acquaforte” Ungaretti è oggi cara agli originari Luigi Nicolais, presidente del Cnr, e Vinicio Capossela.
Ragioni per fermarsi e sostare non mancano: un bel centro storico arroccato con un dedalo di strade ora care anche a molti inglesi che qui han preso casa; la tradizione millenaria e persistente nell’arte della ceramica; diverse delizie per il palato.
Per il loro caciocavallo podolico, stagionato almeno sei mesi in grotta, ad esempio, a Luigi Di Cecca e Giovanni Di Roma è stato assegnato il secondo premio “La Grolla d’oro”, nella prestigiosa kermesse nazionale riservata ai formaggi d’autore.
Chi si ferma a Calitri a pranzo, alla Gatta Cenerentola, alla Locanda dell’Arco o al Ristorante Tre Rose, per esempio, poi, non può perdersi le “cannazze”: ziti spezzati, con sugo di carne (cuta cuta) e sapiente mistura con formaggio grattato. È da sempre il piatto centrale nei riti nuziali: qui ziti significa sposi. Le cannazze servite nella spasa sono un invito collettivo a partecipare con gusto alla gioia della vergine e del suo consorte. Simbolica è anche la braciola cotta nello stesso sugo e legata col filo come a rievocare l’unione degli sposi. Le usanze locali fan sì che li ziti, nel vorticoso tripudio dell’ultimo ballo, si trovino poi davvero aggrovigliati da stelle filanti multicolor, le zicaredde. Legati come una braciola. Si nutrano gli uomini di quel che Dio ha unito. Completata la liturgia a tavola, per arrivare ad Aquilonia basteranno quindici minuti. Se non si è muniti di volontà bastevole, ci si arrischi per errore.

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