Hammamet. Amelio mai banale, altri sì

gennaio 20, 2020

La figlia di Craxi non gli è stata a fianco ad accudirlo quotidianamente ad Hammamet, al contrario; non esiste nessun figlio di dirigente di partito che é andato in Tunisia e si è intrattenuto filmando il leader socialista della Milanodabere e come queste molte altre pagine della sceneggiatura del film nulla hanno a che vedere con la stretta cronaca degli ultimi sei mesi di Craxi. Un film, giova ricordarlo, é differente da un documentario. Eppure il quadro di insieme che emerge nella ricomposizione e nella pennellatura a tratti espressionista di Amelio risulta più vero della spiccia realtà. Almeno in relazione  a quanto é dato sapere e in particolare al periodo ad Hammamet. Vi è tutto il rapporto quasi morboso della figlia col padre, quello più combattuto col figlio Bobo, i tratti scorbutici e l’arroganza verbale, i vizi e le debolezze. Tutto il film o quasi lo fa Favino, straordinario anche nelle pause e nei silenzi. Gli altri interpreti fanno la loro parte, Carpentieri sopra a tutti, un poco meno il giovane figlio del dirigente socialista. Piovani accompagna da par suo.

Amelio poi trova modi laterali, a volte poetici altre volte taglienti, per tenere assieme Sigonella e le relazioni extraconiugali, la conflittualità con una certa Chiesa e le chiacchiere spesso riproposte sull’esistenza di una sorta di archivio segreto che riguarderebbe tanti esponenti politici e non solo di quei tempi. E che sarebbe nelle mani della figlia tuttora. 

In una delle scene più amare del film i nani e le ballerine che con lui ebbero un exploit finiscono per metterlo alla berlina in un’atmosfera grottesca (ben trovati a Margiotta e Olcese), lo danno in pasto alle bocche allargate a ridacchiare di un Paese che tutto mangia e tutto sputa. E poi da capo. 

L’unica caduta stilistica del regista pare quella degli italiani che in gita in Tunisia si avvicinano a Craxi furenti e sembrano un poco stupidotti.

Il finale invece é memorabile ed é forse il monito più amaro. Per un Paese che ogni tanto crede che la pubblica gogna, il sacrificio di chi impersonifica pro tempore il potere sia sufficiente a salvarsi  come popolo e a rifarsi una verginità. Honestà.

Peccato che così non sia e peccato che non si riesca a uscire da una dicotomia che lascia presagire che quel tempo non è ancora passato. Così accade che, chi ha visto di buon occhio Craxi allora, spenda parole buone per il film adesso, perché non ci trova un attacco diretto né sul piano giudiziario, né su quello politico. Lo cavalca.

Chi stava dall’altra parte considera criticamente la pellicola per le medesime ragioni.

E invece il film é bello e parlando di un uomo e delle sue miserie lascia emergere in controluce un Paese intero e i suoi irrimediabili corsi e ricorsi storici, a volgere verso il peggio, senza aver affrontato mai fino in fondo i propri vizi, i guasti sistemici.

Ma solo chi non è capace di distinguere un documentario da un film, la storia dall’arte, può fare confusione e far derivare da un apprezzamento per la pellicola una nostalgia per chi governò in quegli anni. Non bastano i nani di oggi a rimpiangere, neanche a dirlo, i giganti rampanti e senza scrupoli che li hanno preceduti. Viva Amelio, quando se lo merita. 

Viva Pertini, sempre.

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