Calure urbane e parole indolenti. Tra Drugo, LiberoBovio e Peroni gelate

agosto 5, 2019

 Nella calura che toglie il fiato e suda, si fatica pure a bestemmiare. Provo una mossa che mi porti in piedi oltre il divano, ma il sudore tracima oltre le ciglia, invade gli occhi, pizzica. Non è cosa. Mi arrendo di nuovo steso e rifaccio la conta di quello che mi serve dal supermercato per sopravvivere almeno fino a domani. Penso alla frutta di stagione ma in fondo so che prenderò le Peroni in offerta nelle confezioni da tre. Bevete tanta acqua e mangiate frutta in abbondanza dice. La Peroni a me pare la sintesi perfetta. Nessuno che faccia consegne a domicilio in agosto di generi di prima necessità. Ecco un indicatore per dire se un Paese è evoluto davvero. 

Nessuno da chiamare con una scusa, sto messo male, che mi porti uno zampirone grande, dodici Peroni e una bottiglia d’acqua liscia, di quelle piccole. Non si sa mai. Nessuno che risulti vivo, in città e fuori dall’involucro del proprio divano. 

Gli unici sono i turisti che sopravvivono al calore come ultracorpi pronti a conquistarci, approfittando della vulnerabilità cocente del clima, quasi l’avessero programmata loro questa calura.

Oltre a loro in agosto girano solo i pazzi. Di quelli che nel resto dell’anno non si vedono, come se fossero sottoposti a un misterioso letargo. Appena il Sole si fa insopportabile girano e blaterano parole che sembrano esprimere verità profonde e a lungo cercate. “Te lo avevo detto io che era meglio di no” ripete uno e alza ogni volta un poco di più la voce torcendo la bocca fino al collo. “Te lo avevo detto io che era meglio di no!”  E finisce che io mi chieda se ce l’ha con me, con se stesso o se no con chi altri. Più spesso mi convinco che intenda dirlo al cognato. Deve essere uno di cui non ci si deve fidare il cognato. Uno di quelli che non suda mai. Come questi ultracorpi travestiti da turisti che attraversano le strade arse dal Sole con la noncuranza di una lama di coltello che affonda in una sacher. ***

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