Chiamami con il tuo nome (Sennò mandami un messaggio)

gennaio 25, 2018

Chiamami con il tuo nome ha nelle ambientazioni avvolgenti, in alcuni dialoghi – alcuni, nella cura di certi dettagli, nella lenta creazione dell’attesa, nell’interpretazione di “Elio” e nella colonna sonora i suoi tratti migliori.
Può rappresentare forse una carezza a tratti terapeutica per chi avrà affrontato altre ruvidezze nello stesso percorso di scoperta e a qualcuno piacerà sul piano politico.
Per il resto sarebbe un film completamente melenso, probabilmente insulso, se invece che seguire a distanza variabile il progressivo avvicinamento di due corpi maschili, seguisse quelli di un uomo e di una donna, di un ragazzo e di una ragazza.
La sceneggiatura sembra voler sottolineare un assunto: i gay sono persone normali eh, si piacciono come gli etero, si lasciano e soffrono come gli etero.
Tutto un film per dire questo. Un terzo della piccola sarebbe forse stato sufficiente.
Parte poi da un quadro di insieme che ha dell’incredibile: una famiglia a Crema, nel 1983, con una madre e un padre che non solo non ostacolano ma incoraggiano la relazione tra il loro figlio diciassettenne, Elio, e un dottorando di suo padre, statunitense, figo, ospite per l’estate.
A tratti giunge all’insostenibile, come quando, dopo il sermone che fa il padre al figlio sul divano, Elio gli chiede se anche la madre, oltre a lui, sa che si è intrattenuto sessualmente con l’americano. Il padre mente come per aggiungere complicità con il figlio, peccato che qualche scena prima sia la madre a dire a Elio qualcosa del tipo: l’americano ti piace ma tu a lui piaci anche di più (che avrà voluto dire?).
Complessivamente le donne sono assenti nel film e quando sono presenti o hanno ruoli secondari e senza struttura, oppure, nel caso della madre di Elio, hanno comportamenti per niente credibili e di una freddezza (come quando fa gli auguri al telefono all’americano che annuncia il suo matrimonio) che una madre che sa le sofferenze che passerà il figlio fa strano.
Il personaggio stesso dell’americano ha dell’incredibile: fisico da palestra, se sente un pezzo disco non resiste e balla, sa fare massaggi a spalle e piedi manco fosse un pranoterapeuta, il migliore in ogni occasione (dopo due giorni che è arrivato in Italia già gioca a carte con i vecchi come se non avesse fatto altro nella vita, boh), ma é anche un profondo conoscitore dell’etimologia delle parole tanto da correggere il suo professore, il padre di Elio. E si appunta sue disquisizioni filosofiche che manco Kierkegaard. Il film finisce prima che si riesca a capire se è anche uno chef stellato, ma tendenzialmente sì.
L’attesa del primo appuntamento è sottolineata da occhiate di Elio all’orologio eccessive, didascaliche.
Per fortuna a un certo punto si cita una poetessa, Antonia Pozzi. E almeno resta la curiosità di andare a vedere se li c’è qualcosa che voglia assomigliare alla verità, che non la tema.

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