Vincenzo Tavarone, premio internazionale allo chef discepolo di Escoffier (a.d. 2014, buono da ricordare)

agosto 5, 2014

Entrando all’Hosteria il Pescacciatore, ad Aquilonia, può capitare di attendere qualche minuto il padrone di casa, lo chef Vincenzo Tavarone, e soffermarsi a osservare foto che lo ritraggono in appuntamenti culinari internazionali (alla corte di Fidel Castro e di Papa Wojtyla, per esempio).
Quando si presenterà, si scuserà per la breve attesa, mentre se la ride sotto i folti baffi: era a telefono con Nizza, dove nelle prossime settimane ritirerà il più prestigioso premio intitolato allo chef Georges Auguste Escoffier, dopo le decine di riconoscimenti già ricevuti negli anni. Escoffier predicava l’arte della semplicità in cucina, per valorizzare il sapore autentico delle pietanze e il loro valore nutritivo.
Tavarone è di fatto un suo discepolo da quando ha iniziato a darsi all’arte culinaria (a.d. 1968), rifuggendo sempre e ovunque mode effimere e trovate ad effetto. Sia nel suo ristorante che attraverso l’Associazione Enogastronomica Alta Irpinia di cui è Presidente, tiene quattro ingredienti irrinunciabili nella sua cucina: trasparenza, genuinità, stagionalità e tipicità.
Ne consegue che al Pescacciatore nulla è di origine industriale, ogni materia prima, ogni condimento, è ricercato tra i migliori che offre l’Irpinia in quel periodo dell’anno.
Per quanto sia ricca e tipizzata anche la proposta di piatti di mare (l’orata, per dire, è cucinata con il Greco di Tufo), è sui frutti della terra e sulla selvaggina che viene naturale soffermarsi. Si legga dal menù: daino alla finanziera (con i fegatini, condito con olio d’oliva di ravece), o ravioli al sugo di lepre, cavatelli al cinghiale, fagianella all’aglianico irpino, o, ancora, il cinghialetto alla bracconiera.
Si scopra che negli antipasti son serviti certi nervetti di cotenna, sgrassati e ribolliti quattro volte, dal sapore delicato e antico.
A consigliare il miglior vino da abbinare sarà lo stesso Tavarone, che non rinuncia a presentarsi in sala per accogliere personalmente i clienti.
Tra i dolci spicca la sfogliata di mele campestri, il digestivo della casa è “l’amaro della beccaccia”, da provare.
E non mancano novità. “Stiamo riscoprendo un nuovo filone” – racconta Tavarone. “Per ora lo abbiamo ironicamente battezzato “né carne, né pesce”. Parlo di lumache e di rane, di cui questo territorio pure è ricco. Le lumache, per esempio, le prepariamo sgusciate, o al ragù per condire le trofie. Le rane danno il meglio in guazzetto, fritte o spadellate, con i cavatelli”.
Squilla nuovamente il telefono, lo chef si scusa: dovrebbe essere per l’Expo di Milano del 2015: “Stiamo chiudendo un accordo, l’anno prossimo portiamo lì i nostri piatti e i nostri prodotti tipici” spiega. E, sorridendo, aggiunge “Salti chi può, disse la rana”.

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