Due note sulla Cina, oltre il coronavirus

febbraio 4, 2020

Sulla Cina, capace di costruire un ospedale con mille posti in 10 giorni e di usare il riconoscimento facciale a scuola, per controllare attenzione e produttività degli studenti.

Sul paese asiatico più popoloso del mondo, che detiene oltre il 5% del debito pubblico statunitense, sta realizzando il più alto numero di investimenti in Africa, ha installato macchine robotiche nel settore industriale per un terzo del mercato globale.

Sul gigante orientale, che viaggia a passi spediti verso il futuro e contemporaneamente non si fa scrupolo di limitare i diritti umani, purché funzioni.

Sulla Cina e sui cinesi, di là dalle merci che arrivano copiose e dalle comunità che difficilmente si integrano, così come siamo abituati in Occidente, chi scrive nulla sa.

Per iniziare una via può essere quella di leggere con gusto il saggio “Essere o vivere” di François Julien (filosofo francese da molti anni in Cina e – avverte wikipedia – molto amico del filosofo napoletano Roberto Esposito). A seguire una breve, imprecisa e per nulla esaustiva sintesi, di un libro ricco e arricchente, originale e illuminante.

E un assunto o una deduzione, a seconda. La Cina è destinata a vincere, l’Occidente a mantenere una essenzialità.

Essere o Vivere. Il pensiero occidentale e il pensiero cinese in venti contrasti.

La metafora del traffico

In Cina ci sono incroci assai più trafficati dei nostri e senza semafori. Biciclette, scooter e veicoli, i più disparati, a colpi di clacson, rallentamenti e improvvise accelerazioni partecipano a questo flusso continuo, lo seguono sfruttando ogni nuova possibilità. La regolamentazione non viene dall’affidamento a uno strumento terzo, il semaforo, che indica quando è il turno dell’uno e quando quello dell’altro. Si segue un flusso, una sua “inclinazione”, la situazione che c’é e che si percepisce in potenza, come potenziale.

Il concetto di situazione

La “situazione” in Cina ha una propria specifica valenza, non esiste solo grazie al soggetto che vi si situa, non è un mero locativo come accade in Occidente. Da noi la situazione é rimasta “sottosviluppata” come anche la “circostanza” che “non fuoriesce dalla centratura del soggetto”. Unica locuzione nostra – peraltro poco frequentata – che un po’ sfugge al vassallaggio verso il soggetto é “essere nella situazione”.

La mancanza di un soggetto con una sua individualità connotativa

In Cina il termine “soggetto” stesso, invece, non esiste, sarà importato dalle lingue occidentali così come quello di oggetto. Il pensiero cinese, infatti, non pensa in termini di essere e di identificazione, ma in termini di flusso di energia, di poli e di interazioni, o piuttosto di “Inter-incitazione poiché pensa in termini di modificazione e di continuazione, di passaggio comunicante e di transizione”. Ed é questo approccio che ha consentito di sviluppare molto presto in Cina una conoscenza approfondita dei fenomeni magnetici e delle maree.

Il riparo dal rischio di identificarsi con se stessi che equivale a morire.

Sempre questo approccio tiene più al riparo, in qualche modo, da un rischio: coincidere con se stessi. Che è un poco come essere morti. Vale per le singole persone, vale per ogni cultura che, se non è in grado di trasformarsi, se si lascia identificare in tratti distintivi sempre fissi e immutabili, muore. È già morta, come é morta una lingua morta.

Il “tra” e la tensione vitale tra i poli

Vivere per il pensiero cinese, invece, sta proprio in questa condizione di tensione, tra due poli, tra le cose, nel ragionare sempre in termini di yin e di yang, in una struttura che permette di non separare l’uno dall’altro in qualunque ambito, tenendoli invece appaiati in modo funzionale. Tanto che in cinese giusto “dui” significa appaiato.

Un cinese e un occidentale al cospetto di un quadro.

È il concetto del tra, che si tende tra due poli, a informare il pensiero cinese, laddove quello ellenico ha sviluppato di più nel tempo e là in mezzo l’autonomia del soggetto, l’individuo. Messi di fronte a un quadro e invitati a descriverlo in Occidente capiterà, quindi, di riportare i soggetti, i singoli componenti raffigurati. In Cina prevale uno sguardo di insieme, con una impostazione vicina a quella che svilupperanno poi alcuni filosofi moderni europei, come Georges Braque, quando dice “si dipinge anche ciò che sta tra la mela e il piatto”.

La causalità e la reciproca risonanza

Questo spiega anche come ragionare in termini di causa ed effetto, che per noi è scontato, conservi uno scarto notevole rispetto al pensiero cinese.

Quest’ultimo predilige, infatti, un senso di reciproca risonanza, una tendenza, una inclinazione. Non ne deriva conseguentemente su altri fronti una dialettica dritta, di scontro, né piani lungamente riflettuti e articolati sulla causa ed effetto delle singole decisioni, nemmeno in caso di guerra.

L’approccio alla guerra

Il generale migliore non è colui che redige il miglior piano di attacco in anticipo ma quello che valutando le condizioni che incontra, accertati i fattori vantaggiosi, conduce il “potenziale di situazione” a dispiegarsi verso il successo. La vittoria qui sopraggiunge “come un frutto maturo e pronto a cadere”.

Il concerto di “causalità” cede il passo a quello di “reciproca risonanza”.

Il pensiero cinese e l’assenza della rivelazione di un Dio. Lo scarto col pensiero occidentale con alcune parole chiave

Un pensiero, quello cinese, che pur non avendo mai misconosciuto il divino non ha avuto a che fare con Dio, dove “l’opposizione tra essenza e apparenza non è diventata una piega del pensiero”. Una cultura non centrata sul riconoscimento dell’individuo quale soggetto il cui principale attributo fosse la libertà e la massima aspirazione la ricerca della verità. Li non hanno sviluppato percorsi intorno a concetti per noi essenziali come causalità, soggetto, oggetto, differenza, ricerca della verità.

Alcune parole chiave del pensiero cinese

Il pensiero cinese ha fatto un percorso elaborato quanto il nostro, fondato tuttavia su concetti altri, percorsi basati sulla fecondità, sulla risonanza reciproca, sullo scarto tra questo e quello e la tensione conseguente alla distanza tra loro che prende il posto della differenza, sulla “risorsa” che ruba la scena a quella che per noi é la verità. E se conosciamo per mezzo delle differenze, é attraverso lo scarto che pensiamo.

Qualche esempio di scarto tra le lingue

Tutto quanto questo informa qualsiasi ambito e si esprime in ogni manifestazione di una cultura. Nei colori, per esempio: si sposano in rosso, quello che per noi é “a luci rosse” per loro é giallo, il bianco è un colore funerario. Ancor più nella lingua: già la struttura ha notoriamente uno scarto plastico, ideografica quella cinese,  fonetica quella occidentale. In cinese non vi è un soggetto, che rimane sottinteso nella frase, né una forma attiva e passiva. “Non coniugando i verbi, la lingua cinese non può segnalare i tempi differenti, ma mantiene la funzione verbale nella forma che per noi é all’infinito”.

L’approccio per differenze e quello per scarti.

Ne consegue che è sbagliato accostarsi alla cultura cinese come a una deviazione dal percorso occidentale, i termini di differenza tra questo e quello, mentre è molto più fecondo un ragionamento in termini di scarto, di distanza tra Occidente e Oriente e di tensione vitale conseguente. Questo modo, centrato sullo scarto e non sulle differenze, peraltro, consente dopo gli opportuni approfondimenti anche di guardare da Occidentale alla propria cultura di origine con occhi nuovi, dall’esterno.

Due valutazioni personali

Il cinese destinato a prevalere

Rimangono nelle valutazioni strettamente personali due assunti o deduzioni. Un pensiero come quello cinese che pone al centro del proprio mondo l’interrogativo “come?”, in questo momento storico, ha uno scarto competitivo e un potenziale di situazione favorevole elevatissimo. Si direbbe destinato a prevalere nello scacchiere terrestre attuale.

Il pensiero occidentale esseenziale

Ci resterà la filosofia e il pensiero alto, perché se il filosofare “non è altro che indurre ogni volta una rottura”, anche la vitale tensione tra due poli rischia di restare stretta, come é stretta la vita se ricondotta a una mera esperienza biologica.

Introdurre una faglia, una seconda faglia e un’altra ancora in un modo di pensare che si va digitalmente uniformando, standardizzando, ad ogni latitudine, appare l’unica seppure flebile speranza di sfuggire a un percorso tutto chiuso in una scatola definita, senza altre possibilità aperte. Destinata a identificarsi con se stessa, in qualche modo a portare a morire il mondo. E queste faglie possono derivare da un pensiero che scaturisce dall”io”, dall’individuo, dalla sua accesa libertà di pensare senza confini, limiti, poli di tensione, invece che dal suo approccio trascendente, metafisico.

Un tentativo postdemocristiano di conciliazione

Ripensata in termini conciliativi, per superare la tendenza diffusa e la tentazione bieca di ragionare solo per contrapposti, si potrebbe finanche dedurre che abbiamo tutto il bisogno – per sopravvivere – delle risposte migliori al “come?”, al fondo del pensiero cinese. Non potremo, tuttavia, prescindere dal chiederci comunque in qualche modo “perché?”, se intendiamo continuare non solo a vivere ma a esistere, a essere. Così é almeno per chi, senza saperne abbastanza ma annusando e qui scrivendo, si sente in tutto figlio della Grecia antica.

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