Due passi per le Cinque Terre – nel luogo dove nacquero i Limoni

aprile 14, 2019

Stare qualche giorno nelle Cinque Terre mentre nel capoluogo lombardo c’è il FuoriSalone porta con sé il lusso, sottovalutato, di non incrociare nessuna di quelle milanesi, per domicilio o per aspirazione, con la boccuccia a U e la posa costipata.

Così, almeno, dice Mario che in Liguria ci viene tutti gli anni, sempre un momento prima che arrivi gente, spesso solo per scappare da eventi meneghini di grande tendenza.

Gli piace ammirare il lento risveglio dei borghi liguri al suono di badili, cazzuole e frattazzi di muratori intenti a riattare case per le vacanze e a sistemare le spiagge e i sentieri per la stagione buona che viene.

Sta lì a contemplare imbianchini all’opera per ridare colore a pareti, corrimano, panchine e cabine balneari.

Umarell in trasferta, sembra omaggiare Woody Allen e la sua “Mi piace molto il lavoro, potrei stare ore a guardarlo”.

Sua moglie aggiunge che venire prima che inizi la stagione consente di godere di una speciale cortesia da parte dei liguri.

Ci guardano, noi, primi avventori, come portatori di un buon presagio per l’annata turistica che si appresta, dei portafortuna.

E sorridono chinando il capo da un lato. Niente di eccessivamente mieloso e ancor meno remissivo, sia chiaro, ché gli animi qui sono puntuti, ispidi, netti.

Come la lingua. In queste terre il vino è lo Sciacchetrà. Sciacchetrà: come il suono di uno sparo di fucile in aperta campagna.

Secco, come i muri di arenaria che costeggiano le strade di paese e perimetrano i ciàn, le piane, i terrazzamenti per gli uliveti e per i vitigni di Albarola, Bosco e Vermentino, dai quali quel vino poi fermenta.

I ciàn, prodigio dell’uomo, ricavati spesso a piombo sul mare, muri alti due metri e che per lunghezza complessiva pareggiano l’estensione della muraglia cinese.

Solo che quella è una opera di guerra, costruita con la carne e spesso i corpi esalati di schiavi, si impettisce Riccardo che qui ci vive da sempre, i nostri tirarono su da soli i ciàn, per far germogliare i frutti di viti e ulivi.  Che belin de lou che belin de lou.

Forse è solo attaccamento al proprio campanile, ma lo dice con un tono così assertivo da non ammettere repliche, né dubbi.

Lavora da trent’anni per gli armatori napoletani Visco, dice con una smorfia, prima sulla nave ora a terra. E fa il miglior vino di tutte le Cinque Terre. Artigianalmente, ma non è il vino del contadino, precisa. E chiede conferma a Giovannino, che da dietro il bancone ascolta già da prima.

Il ragazzo conferma e però aggiunge a sfottere che lo faceva meglio prima.

Tutto era meglio prima, risponde per le rime Riccardo. Pure viverci qua. E intende dire che da cinque anni le cose sono cambiate molto rapidamente, si è accelerato lo spopolamento. Le case le comprano i ricchi che non ci vivono. I prezzi aumentano. Lo dice anche perché sa che Giovannino sta cercando casa da comprare.

Ma vogliono 5mila euro al metro quadro, chi ce li ha? Me ne dovevo andar quando venne giù l’alluvione.

Ma va là, sdrammatizza Riccardo, che posti belli come questo non ce n’è.

Già i nomi delle cinque località che si snodano tra (La) Spezia e Levanto evocano qualcosa di insolitamente suggestivo: Riomaggiore; Manarola; Corniglia; Vernazza; Monterosso.

Lo scenario che poi si svolge intorno ai sentieri e alle mulattiere che dalle cime dei monti scendono fino a riva è una vera meraviglia per i sensi.

Spectacular” per i portoghesi, “Superb” è, invece, l’aggettivo preferito dei francesi che così confessano anche un loro modo di stare al mondo.

Nonostante i danni ancora persistenti dopo la tragica alluvione del 2011 i sentieri percorribili sono ancora tanti e variegati.

Alcuni più brevi e tutti in verticale, come quello che da Riomaggiore conduce al Santuario di Nostra Signora di Montenero che condivide con altri luoghi di culto dedicati alla medesima rappresentazione della Madonna (a Livorno, per esempio) la leggenda del quadro prima scomparso, nascosto, seppellito per salvarlo dall’arrivo degli invasori. E poi recuperato.

Più lungo e articolato è il percorso che da Manarola conduce a Corniglia attraverso il borgo disabitato di Volastro. Qui si incrocia la chiesa di Nostra Signora della Salute e la storia vuole che per via delle incursioni saracene si affrettarono a seppellire con gli oggetti preziosi anche le campane, delle quali si è poi persa ogni traccia. Nelle notti di tempesta, tuttavia, dicono sul posto, il suono dei loro battagli si sente ancora salire da dentro la terra e diffondersi fino al mare.

I percorsi a piedi che costeggiano il mare sono quasi tutti chiusi, in primis quello dal nome più ruffiano “il sentiero dell’amore”. Rimane però il tratto che da Vernazza conduce a Monterosso, il borgo ove soggiornò per lunghi anni anche Eugenio Montale.

Scoprire che è in questi luoghi che il poeta ligure sentì e scrisse l’enormità di Ossi di Seppia è un altro dono di queste terre.

Incontrare due giovanissimi che, fermi davanti alla villa dove lui soggiornò, si fanno un selfie apre addirittura a una moderata speranza.

Perché ol tre il giovanilismo di Baudelaire e l’inaccessibilità di Campana, oltre i poeti laureati, ci sono milioni di scale dando il braccio all’amata e i Limoni di Montale.***

(P.S. Giovannino non se ne andrà).

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